Cosa c’entrano le assenze dal lavoro, i musei gratuiti, le gonne, con i diritti delle donne? Mi rende perplessa vedere come in questi giorni il mondo si prepara alla “festa della donna”.
Una ricorrenza annuale che fa gola a millantatori e vanagloriosi, che fa riempire le campagne elettorali, l’ego agli organizzatori di eventi e le pagine social agli scrittori d’occasione. Ma tutte queste feste, così concepite, hanno davvero poco a che fare con le lotte vere, quelle individuali, quotidiane, che affondano le loro origini nei tempi in cui le donne, pur avendo poco, rischiavano, anche se perdere quel poco significava perdere tutto. Quelle donne nonostante tutto avviavano lotte consapevoli, coerenti, necessarie. Quelle stesse lotte che oggi ci hanno dato cose che finalmente e giustamente diamo per scontate. E perché non dovremmo? Non è forse questa la parità di diritti? Dare per scontata l’uguaglianza. Segnare le differenze preziose e ignorare le distanze fittizie, utili solo ai deboli.
Ma dove sta il problema? Nel dedicare una giornata alla donna? Nel festeggiarla o valorizzarla? Il problema credo sia molto più complesso della ricorrenza. Non è il “cosa” ma il “come”. Il modo in cui si colora una bandiera di acqua; in cui si fanno cortei di voci e non di idee. Il problema è un modus operandi che sembra ignorare il vero nemico da combattere.
Viviamo un periodo di equilibrio precario, tra la donna già emancipata e una società non ancora abituata; tra chi rivendica libertà e chi al “non sono sessista” aggiunge uno stonatissimo “ma”. Chi ancora non ha chiaro il significato dei termini “violenza di genere”, “parità di diritti”, “libertà”, fa delle ricorrenze mal gestite un ulteriore motivo di separazione; cerca soluzioni vane nella gara ad avere ragione, nelle discussioni da salotto, mentre il mondo continua a vivere e bruciare le vere lotte. Ma queste sono distanti da un’esibizione in mutande o da un servizio fotografico con una parziale nudità; distanti dai salotti e dai flash mob. Perché quella incredibile e per tanti millantata “violenza di genere” esiste nelle case, nelle strade, nella vita di ogni giorno. Esiste non come atto di violenza ad una donna, non come esasperazione di una lotta sensata, ma come fenomeno culturale, come meccanismo che costringe ancora la donna (che talvolta si costringe da sè) a vivere secondo dettami che non possono più appartenere ad una società globalizzata, alle conquiste delle vere combattenti, alla libertà vera e non quella urlata nelle piazze, mentre nelle case si chiudono le finestre e si tappano le bocche, spesso con le proprie mani.
E allora mi sono chiesta: perché rovinare un argomento così delicato con il più grossolano qualunquismo?
A Melbourne in nome di un discutibile femminismo sono apparsi i semafori con gli omini in gonnella. E mi chiedo… come può, un semaforo con l’omino in gonnella, essere un messaggio di parità di diritti, di libertà? Come può una gonna, una distinzione, ancora una volta, essere utile se non a tagliare un nastro e farsi autori di un’altra idea banale che accontenta i più?
In tutto il mondo, oggi, 8 marzo 2017, le donne faranno sciopero dal lavoro per scendere in piazza a manifestare contro il sessismo e tutte le sue conseguenze. E mi chiedo… come può l’assenza dal lavoro dare messaggio di uguaglianza, se proprio quel lavoro è stata una conquista?
E ancora, i musei gratuiti per le donne. Ma come può, un museo gratuito solo a me, donna, rendermi felice in quanto tale?
Festa della donna o trionfo del sessismo più becero? Penso che per questa festa confusa, più che mancare a lavoro, più che elemosinare contentini fini a se stessi, la soluzione migliore sia mettersi a lavorare sodo, come ogni giorno, per le proprie conquiste e il proprio futuro, perché l’unione fa la forza, ma qualche volta ci vuole l’audacia dell’individualità che sa discostarsi dai grandi numeri che non sempre fanno la ragione.
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