Vi abbiamo parlato di “Virità femminile singolare – plurale”, una raccolta che racconta  venti donne che hanno fatto la storia, che hanno in qualche modo cambiato l’isola e l’Italia intera. In questo articolo l’intervista all’autrice Giusy Sciacca per approfondire meglio il tema del suo libro e conoscere la sua “virità”. (Clicca QUI per leggere la nostra recensione).

Giusy Sciacca

 

Quando e come è nata la voglia di raccontare la “Virità” di donne, reali o immaginarie, che hanno influenzato la storia della Sicilia e dell’Italia?

Tutto nasce da un amore viscerale nei confronti della Sicilia. Mi sono sempre appassionata alla sua storia e di come già da tempi lontanissimi fosse intessuta di storia, ovviamente, mediterranea e internazionale. Avevo bisogno di ripercorrerla con uno sguardo ben preciso: volevo concentrarmi sulle figure femminili, sulle protagoniste – spesso in trincea – di pagine importantissime di un passato che appartiene a tutti, siciliani e non. Per questo motivo gli scenari che precedono ogni racconto sono veri, documentati e le donne di “Virità” sono tutte figure storiche o appartenenti alla leggenda in pochissimi casi. Ma, non immaginarie. Di immaginazione c’è solo la mia interpretazione delle loro voci attraverso un io lirico, liberato da ogni filtro.  

Nel libro “Virità femminile singolare – plurale” ci racconti di venti donne, tutte diverse eppure in qualche modo uguali. La Sicilia è un’isola grande, ricca di storia e cultura, sicuramente oltre a loro ci saranno tante altre donne. C’è qualcosa che ti lega a queste e che ti ha spinto a raccontare di loro?

La stratificazione storica, culturale e linguistica della Sicilia è qualcosa di unico e si potrebbe non smettere mai di conoscerla. Certo le donne affascinanti che, al di là di titoli e ruoli, hanno vissuto questi millenni di storia sulla propria pelle sono moltissime. Ne avevo ipotizzate molte, ma ho dovuto compiere una scelta che ho affidato alla mia sensibilità, al mio vissuto. Ho scelto quelle che mi sembravano più rappresentative di una multiformità sociale e culturale e ho scelto soprattutto quelle in cui, comunque, in un punto della loro esistenza mi toccavano in qualche modo. Per questo le amo tutte, perché questo viaggio è stato doppio, con una andata e un ritorno. Sono entrata e uscita da loro prendendo e lasciando qualcosa attraverso le parole.

Le biografie tendono a raccontare in modo più o meno dettagliato la storia di qualcuno, tu invece hai rivoluzionato il modus operandi, decidendo di lasciare la penna a queste donne. Com’è nata questa scelta narrativa?

Scrivere delle biografie, catalogare un elenco di nomi era quanto più lontano dalla mia intenzione ci possa essere. I nomi, i fatti storici nel loro dettaglio, le citazioni letterarie sono un terreno. Costituiscono un impianto saggistico su cui poi io ho messo al centro le emozioni, ripeto, un io lirico che ha bisogno di liberarsi da titoli, ruoli, etichette e convenzioni. Le mie sono donne, sono umane, perfino le sante come Santa Lucia e i miti di Aretusa o Demetra e Kore. C’è anche tanta passione per il teatro dietro questa scelta. È così che nacque il primo pezzo, quello di Peppa la Cannoniera, scritto appunto per il teatro. Poi ha prevalso l’esigenza di raccontare e il racconto in prima persona era la forma ideale per coniugare drammaturgia e narrazione.

Se parliamo di un romanzo il racconto è tutto nella testa di un autore, è lui che tesse la tela di eventi che condurranno i personaggi a fare una data cosa. Le biografie invece sono già scritte. Qual è l’iter che di solito si segue e come hai agito tu in particolare?

Vero, ma è un discorso che vale per una biografia di tipo meramente “compilativo”, potremmo dire. Nel senso che non possono esserci particolari colpi di scena. Dove allora un racconto biografico può riservare delle sorprese o ciò che è ancora ignoto al lettore? Nell’intimo, negli angoli più reconditi di un personaggio, del quale conosciamo gli esiti di scelte e destini, ma non siamo stati partecipi delle pulsioni, delle emozioni, dei turbamenti di quella figura.

Ritengo che in entrambi i casi, romanzo o racconto, sia necessaria alla base innanzitutto un’attività di ricerca e di approfondimento. Del contesto, dello scenario. Nel caso di un romanzo l’architettura narrativa è certamente più complessa, per quanto le premesse siano le medesime.

La particolarità del racconto, biografico o meno, è la capacità di essere un soffio, un’epifania. Non è una questione di lunghezza. La cifra del racconto è nell’essere una boccata di narrazione, spesso anche irrisolta, ma appagante.

Domanda un po’ più generica: ognuno di noi nasconde una “Virità”, quella che celiamo dietro la maschera. Qual è la “Virità” di Giusy Sciacca, l’autrice oltre il libro?

Dovrei fare un elenco lunghissimo e confessarmi sul serio! La mia Virità con cui faccio i conti ogni giorno è accettarmi e perdonarmi qualcosa. Sono un’inquieta per natura e poco clemente con me stessa.

Intervista a cura di Fabiola Criscuolo.

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