E già, la mia passione per il soprannaturale mi ha fatto andare a caccia di quelle tradizioni che nascondono un po’ di mistero.

Da bambina ascoltavo rapita i racconti di mia nonna che vedeva segnali dall’aldilà un po’ ovunque. Probabilmente anche dietro il divano dove si nascondeva quel temerario di mio fratello quando raccontavamo storie di fantasmi. Nascosto, per modo di dire, perché in realtà non si perdeva una sola parola e se questo accadeva esordiva con: “Come? Non ho sentito!”

Questa nonna stravagante era Sarda e grazie a lei ho scoperto che questa terra è ricca di tradizioni che strizzano l’occhio al mistero. Siamo abituati a pensare alla terra dei quattro mori come ad una meta vacanziera patinata, fatta di mare cristallino, venti complici di corse in wind surf e località esclusive per vip e yacht, sui quali non vi nascondo che un giretto, crogiolandomi sul ponte al sole, me lo farei più che volentieri.  Eppure, oltre alle veline c’è di più. Quindi, per oggi,  lasceremo da parte il jet set e andremo a farci un giro nella tradizione magica che fa capolino anche a  Natale.

La Sardegna non è una terra sfregiata dal sovraffollamento e dal cemento; percorrendo la strada che la attraversa da nord a sud, la Carlo Felice, vi imbatterete in paesaggi lunari, in tratti verdi e  rigogliosi e in paesi dove il tempo sembra essersi fermato. Prima dell’arrivo del turismo, questa era terra di emigranti e il mare non era sinonimo di relax bensì un tormento blu che si portava via i giovani quando andavano a cercare fortuna altrove. O dal quale arrivavano conquistatori e nemici, insomma, un elemento da guardare con timore misto a tristezza questo mare.

Il Natale era il periodo in cui molti di questi emigranti tornavano a casa e il calore doveva iniziare da “su truncu de xena”: il ceppo che, bruciando  nel camino, avrebbe generato un fuoco da tenere vivo dalla vigilia sino all’epifania; avrebbe simbolicamente scaldato Gesù bambino, e se si fosse spento, l’anno non  sarebbe stato buono.

Non sorprende quindi che fosse tutta la famiglia a tenere d’occhio quel fuoco affinché restasse ben vivo e scoppiettante. Pronto a portare fortuna. E la cena della vigilia? Non doveva restare nemmeno una briciola!! Letteralmente!!! Le briciole di pane e altri resti di cibo, non dovevano restare sulla tavola. In caso contrario il fantasma di Maria Puntaborru avrebbe punito gli incauti commensali, invece di aggirarsi inoffensiva per la casa nottetempo.

E’ proprio il caso di dire: il Natale sardo è donna!

Le future mamme in dolce attesa avrebbero fatto bene ad assistere alla messa di mezzanotte per garantirsi il sereno proseguire della gravidanza, evitando di mettere al mondo una creatura mostruosa. Insomma, nel dubbio, chissà quanti pancioni avranno affrontato il freddo della notte dicembrina. E se il pargolo fosse nato proprio quella notte? Sarebbe stato un bimbo magico, speciale, una creatura  che non avrebbe mai perso denti e capelli nel corso della propria vita. Non si sarebbe decomposto nemmeno dopo la morte!

Il Natale era un periodo speciale anche  per quelle donne un po’ maghe e un po’ erboriste, un po’ streghe e un po’ fate, che conoscevano il potere della guarigione, da trasmettere alle giovani solo tra la vigilia e  l’epifania. Una notte magica quella della vigilia. Una notte in cui esorcizzare il male propiziando il bene; una notte in cui sacro e profano, magia e tradizione, avrebbero continuato ad andare a braccetto lungo le stradine dei paesi, arrivando davanti ai fuochi nei camini. Avvolgendosi negli scialli delle donne, profumando di spezie come il tradizionale pane di saba che le donne sarde, da sempre un po’ magiche, continuano a preparare per la festa.

Questo piccolo viaggio nella notte di Natale è per te nonna…e per tutte le donne che avranno avuto il piacere di leggerla.

Barbara Giuliano. 

3 Comments on “Natale in Sardegna: la magia abita qui.”

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