Molto spesso ci si interroga su cosa si intende per normalità, soprattutto quando ci si relaziona con quelle persone che, fisicamente o mentalmente, presentano delle diversità dalla massa con cui ci interfacciamo.

Il concetto di normalità è definito da una serie di parametri che vanno da quelli puramente statistici a quelli biologici etc; eppure credo che in parte, soprattutto per certi aspetti, la normalità sia più una costruzione sociale, qualcosa che trova le basi nella cultura del luogo giocando un fattore determinante, spesso ciò che è normale qui in occidente non lo è in altre culture come per esempio in quelle orientali e viceversa.
A volte è il progresso stesso della civiltà occidentale a dettare i parametri di quello che è normale, scartando automaticamente quello che sembra ancora primitivo e ci fa sgranare gli occhi dall’orrore.
Ricordo ancora quando all’università seguivo le lezioni di antropologia e il professore ci raccontava di quanto potessimo essere sconvolti di fronte a quelle popolazioni che si nutrono di insetti, di quanto ai nostri occhi occidentali faccia senso e disgusto, così come additiamo come criminali chi mangia cani e gatti… ma non è forse frutto di una cultura che ci ha cresciuto considerando i primi “insetti orridi” e i secondi “animali da compagnia”?
Altre popolazioni a loro volta per motivi religiosi/climatici hanno altre proibizioni alimentari su animali che sono i preferiti sulle nostre tavolate. Probabilmente ai loro occhi appariremo anormali, o strani, così come loro ci appaiono alieni.
Tornando a ciò che definisce la normalità, in campo statistico è normale ciò che si colloca nell’ambito medio dei valori di una certa variabile. Questo è il criterio su cui ci si basa in biologia e medicina per trovare il limite tra normalità e patologia. La normalità non è altro che quel comportamento, quella funzione, quella struttura mentale che si riscontra in un’alta percentuale di individui tutti omogenei. Molto spesso quindi normalità fa rima con persona sana di mente, che risiede nella pienezza delle sue funzioni psicofisiche.
In ambito culturale la normalità designa quei segmenti di comportamento elaborati al livello sociale da ogni cultura, anormali quindi vengono considerati quei comportamenti che la cultura non ritiene adeguati e non approva. Anche l’ambito giuridico legale ci aiuta a definire la normalità che diventa un comportamento che non entra in collisione con le leggi che vigono in quel determinato momento in quel determinato luogo.
Ma al di là della statistica, della cultura e della legge, soggettivamente parlando, per ognuno di noi la normalità è ritenuta tale dal nostro giudizio personale che valuta se stesso come standard di riferimento. Siamo portati così a formulare giudizi al di là della validazione consensuale della società. Quante volte ci è capitato di considerare strano qualcuno solo perché i suoi comportamenti, i suoi modi e le sue abitudini si discostano totalmente da noi facendolo apparire quasi come un disadattato ai nostri occhi. È evidente che la normalità è frutto di tanti fattori complessi di analisi, la cultura, la società e noi stessi siamo un metro di osservazione attraverso cui filtriamo ogni cosa che ci circonda e tendiamo a incasellarla.
Più o meno quindici anni fa il mio prof. sosteneva che il mondo è dei normali, dei destri, di quelli che ci vedono, di quelli che camminano con le proprie gambe, degli alti, di quei segmenti di popolazione che rientrano nelle medie statistiche… le minoranze sono quelli ai lati della curva di Gauss e sono quelli di cui la società si occupa di meno perché sono numeri esigui. Dopo tanti anni mi chiedo se sia ancora così, o qualcosa sia cambiata. E voi che ne pensate?
Fabiana