“L’amore per la musica è un’emozione che non gestisci, come quando ti innamori” 

Bologna. È sabato e in città c’è un gran traffico, fa caldo come fosse piena estate ma è solo maggio. In piazza VIII agosto ci sono le bancarelle del mercato, le vie del centro brulicano di turisti, di giovani e anziani del luogo. Ai piedi della Torre degli Asinelli e ai margini di Piazza Maggiore, gruppi di artisti di strada attirano l’attenzione della gente, mentre, le botteghe pittoresche in via delle pescherie vecchie, con i loro profumi speziati talvolta dolci e altre intensi, ti danno l’impressione di stare camminando in un’altra epoca. Una più magica di quella in cui viviamo. È il 13 maggio 2017 e questa sera, a L’Altro Spazio – un locale pieno di iniziative, gestito da gente simpatica, situato in una strada parallela del centro storico – per la rassegna “La fabbrica live” si esibisce Andrea Biagioni in compagnia di David Ragghianti e Giuliano Dottori.

Non sono neppure le otto di sera e loro li trovo già lì, impegnati con il check sound, ma riesco comunque a scambiare due parole con Andrea che si dice disponibile a lasciarsi intervistare da me. 

Le parole virgolettate con cui ho aperto l’articolo non sono mie, ma sono di Andrea Biagioni. Alla mia prima domanda, “Com’è nata la passione per la musica, cosa l’ha scatenata?”, infatti, lui sorride, perde lo sguardo in avanti e mi racconta di un cena in campagna con i suoi genitori, aveva solo otto anni e gli era stata regalata una chitarra. Un’amico di famiglia l’ha suonata quella sera davanti a lui per la prima volta; “A un certo punto lui prese la chitarra e iniziò a suonare e io scoppiai a piangere “dice, quasi come fosse meravigliato tutt’oggi di quell’emozione. “Guarda, mi viene da piangere anche ora che ne stiamo parlando” aggiunge con gli occhi realmente lucidi. Quel ricordo altro non è se non la prima scintilla dalla quale è nato il suo grande amore per la musica, e infatti è a questo sentimento che lui stesso paragona quell’emozione: “Non riuscivo più a contenermi, non mi riconoscevo… era una cosa strana; come quando incontri una persona, ti innamori e diventi quasi più stupido di prima. Parli, ridi e non ti gestisci più”Una sensazione incontrollabile e inaspettata che lì per lì lo portò a rifugiarsi tra le braccia della madre, come a vergognarsi di quella reazione che non riusciva a controllare e a capire. “Sentivo una cosa che non gestivo. Era un qualcosa di nuovo, un qualcosa di forte… più del normale”. 

Ci ridestiamo da quel ricordo, perché per un momento sono stata davvero trasportata in una casa di campagna. Andrea ha questa capacità di trasportarti altrove, che canti o parli lo fa con intensità. Ha un modo interessante e profondo di pensare, di vedere le cose. Quindi gli chiedo: “Poi, però, hai iniziato gli studi di musica con il pianoforte. Quali sono i musicisti che ti hanno ispirato in questo percorso artistico?”. Perché a questo punto sono davvero curiosa di sapere quali sono stati gli altri step di questa lunga storia d’amore tra lui e la musica. Lui mi dice che è merito di sua madre se ha iniziato a studiare pianoforte, “Ma perché non cominci a suonare il pianoforte?”, gli disse. Così Andrea provò e fece quattro anni di piano classico, ma in quell’arco di tempo ha continuato a suonare la chitarra da autodidatta fino all’età di 21 anni. A 13, però, faceva già concerti. “Il rapporto con lo strumento è iniziato intimo”, precisa, “librino d’accordi e mi metto a suonare. Il primo fu uno spartito di Battisti dove c’erano: “Pensieri e parole”, “La canzone del sole”, “Il tempo di morire” e vari classici”. 

“Quindi Battisti è uno degli artisti che ti hanno ispirato fin dall’inizio”, deduco. “Ce ne sono altri? Magari anche stranieri”, gli chiedo.
Lui risponde senza esitazioni: “Artisti italiani tantissimi, come De André, ad esempio. Per quanto riguarda gli stranieri, io vengo dalla musica straniera”. A quel punto mi ricordo di averlo sentito nominare diverse volte gli Oasis: “Gli Oasis sono uno dei gruppi che hai nominato spesso nelle varie interviste, se non erro”. Conferma, ma mi dice che all’epoca era già più grande e che all’età di dieci anni ascoltava tantissimo Simon & Garfunkel, Beatles, Rolling stones e Bob Marley. Di quest’ultimo cita alcuni pezzi che ha eseguito nel corso degli anni, come “The redemption song”, “This is love” e “Iron Lion Zion”. 

Arriviamo a parlare di X-factor, della sua partecipazione al programma e di come è maturata la decisione di presentarsi davanti alla giuria.

Mi conferma che la presenza di Manuel Agnelli è stata importante ai fini della sua decisione di voler provare a fare quell’esperienza, nonostante non sia mai stato un amante dei talent. “Diciamo che la presenza di Manuel Agnelli mi ha dato una speranza di poter far musica anche lì”, precisa. “Da buon sognatore, mi sono detto che magari, se fossi stato deciso, sarei riuscito a fare la mia musica, il mio genere”. E, infatti, come Andrea Biagioni stesso mi ha poi confermato, Manuel Agnelli si è sempre mostrato assolutamente disposto a lasciarlo fare. “A parte due brani che comunque io ho suonato anche se erano su base, gli altri erano tutti arrangiamenti miei”. 
A quelle parole, mi torna subito in mente il suo arrangiamento di Black or White portato sul palco di X factor. Gli confesso – a questo punto sono totalmente a mio agio – che ho apprezzato molto quell’esibizione, e gli rivelo le proprietà quasi ipnotiche che hanno le sue dita sulle corde. In senso assolutamente positivo, ovviamente. Tuttavia glielo devo chiedere e lo faccio: “Non hai temuto che potesse essere un rischio presentare un nuovo arrangiamento per brani molto conosciuti?”. 

“Sì, ma io non riesco a fare le cover”, ammette con assoluta immediatezza e sincerità. A proposito della sua partecipazione ad X Factor, aggiunge: “Io ho preso il talent come un’esperienza mia personale, nient’altro. Mi sono fatto una domanda profonda e mi sono detto: ti piace o non ti piace il discorso televisivo? E mi sono reso conto che temevo quest’esperienza, anche se avevo già cantato davanti a mille persone. Ho suonato in America, a delle Jam Session a New York, ho fatto le audizioni alla Berklee di Boston e mi hanno preso… ne ho fatte di cose che a me facevano paura”.

La domanda scivola da sola dalle mie labbra, mi incuriosisce questo sapersi mettere a nudo senza temere di mostrare le proprie debolezze e paure, o le proprie idee che possono essere condivise o non condivise dai più. Cos’è che temevi?”

Lui sorride e ancora una volta punta lo sguardo a cercare il ricordo di quella sensazione: “Forse era una paura più da bambino”, dice, quasi come fosse una riflessione tra sé e sé. Poi, il tono diventa più deciso: “Io non avevo mai fatto provini, mettermi davanti a una commissione per me è la morte dell’arte. Quando stai creando qualcosa, non ci deve essere il giudizio delle persone, dopo ok, ma deve essere finita l’opera. Però è un esame che devi fare”E in effetti mi trovo ad essere totalmente d’accordo con le sue parole. Sarà che del resto, seppure in modo lievemente diverso, vivo d’arte e d’emozioni anch’io e tra noi ci si capisce benissimo.

Pregiudizio, quando si parla di Talent è una parola che si ripropone spesso.

A tal proposito, gli chiedo se è vero che nel mondo della musica c’è un po’ di diffidenza verso gli artisti che arrivano dai talent, e lui risponde che il pregiudizio c’è, ma lo aveva messo in conto. Fino a poco prima suonavo nei locali e poi mi ritrovo su un palco importante come con gli Afterhours in tour. A quel punto c’è gente che dice: “ah, è lì solo perché ha fatto X factor”. Tanti altri invece mi hanno detto: “Tu cosa c’entravi ad X-factor? Tu sei un’altra cosa”. Quindi credo che tante persone hanno capito la mia missione lì dentro, il motivo. Il talent è una strada breve che ti accorcia tante tappe. Poi, ti porti dietro comunque il fatto che hai usato quel mezzo, però secondo me se lo usi nel modo giusto ti può aiutare”, conclude.

È un ragazzo con i piedi per terra Andrea Biagioni, e stando a ciò che dice sono certa che è impossibile che possa mai montarsi la testa. Lui vive di musica, ama la musica e il suo unico scopo è continuare a farlo; non importa dove. Ciò che è davvero importante per lui, ho capito, è emozionare ed emozionarsi attraverso l’arte. Che sia un palco prestigioso – il ché fa sempre piacere, non neghiamolo – o un angolo in un locale, non fa una grande differenza, purché possa esprimere se stesso.

Qualcuno lo chiama, la voce rimbomba dalla tromba delle scale. Doveva essere una cosa veloce, ma ci accorgiamo che sono passati oltre quindici minuti durante i quali siamo stati a sedere su un divanetto in una stanza enorme con un manichino inquietante che ci osserva dall’angolo opposto. Là sotto, nel locale, è tutto pronto e la gente sta aspettando che la serata abbia inizio.

È arrivato il momento di concludere la nostra chiacchierata, ma prima gli chiedo se lo vedremo in Tour quest’estate e se c’è un nuovo disco in uscita.

Quest’estate farò una decina di date che devono ancora uscire“. Tranquilli, vi faremo sapere date, luogo e orari. “In questo periodo sto scrivendo, sto girando con dei pezzi miei. Nel tour che farò porterò cinque inediti”, e poi un’altra ottima notizia: “Entro la fine dell’anno, se non in autunno, uscirò con un nuovo CD”. Gli confesso che non vedo l’ora di poter ascoltare il suo nuovo disco e lo lascio ai suoi riscaldamenti vocali. (A fine articolo i saluti di Andrea Biagioni ai lettori di Tratto Rosa).

Questa di Bologna era la penultima tappa di un tour di cinque date collegate al Festival “Musica Distesa, organizzato dai fratelli Dottori tra cui Giuliano che ho avuto modo di ascoltare insieme ad Andrea Biagioni e David Ragghianti.

Foto in evidenza di Simona Romani